Quando il confronto con i coetanei porta alla disistima di sé tutto sembra crollare. Il genitore è la chiave che può aiutare a riemergere
Man mano che i bambini crescono e delineano la propria identità e il concetto di sé, essi cominciano ad assegnare implicitamente un valore positivo o negativo al profilo delle proprie qualità.

Questo processo che inizialmente vede il bambino in relazione con i genitori si estende poi a tutti i successivi agenti di socializzazione, primi fra tutti i coetanei. Nel loro insieme queste autovalutazioni determinano l’autostima.

Prima di addentrarmi nel merito è meglio fare luce sul termine autostima, precisando bene che cos’è dal punto di vista psicologico.

L’autostima si riferisce alla valutazione che una persona dà di sé e delle proprie qualità.

Ad esempio, può accadere che un bambino di 8-9 anni ha di sé il concetto di essere un bambino che fa spesso a botte. Se questi valuta positivamente la capacità di fare a botte e di difendersi da solo, questa qualità accrescerà la sua autostima, mentre se la tendenza a entrare in conflitto con gli altri lo rende infelice, l’inclinazione all’aggressività potrà abbassare la sua autostima, ritenendosi una persona negativa rispetto agli altri.

Ne consegue una svalutazione di sé idealizzando come avviene in alcune situazioni, tutto ciò che proviene da fuori. Ecco allora il compagno più bravo, l’amica più bella e intelligente, il vicino più bravo.

Un bambino che nutre della disistima di sé spesso si sente rifiutato dagli altri, siano essi i coetanei, che adulti, come la maestra, l’educatore, l’allenatore, la catechista fino, a volte, a pensarlo dei propri genitori.

I bambini che si sentono più esposti al rifiuto, inoltre, spesso sono quelli che ne hanno più paura. Paura che deriva dal bisogno costante di essere accettati e confermati dagli altri, anche a costo di plasmare tratti del proprio comportamento e carattere per compiacere.

La famiglia è il primo ed insostituibile agente sociale con il quale il bambino entra in contatto. In essa il bambino oltre all’accudimento fisico (essere lavato, pulito e nutrito) trova il nutrimento affettivo, fatto di coccole, carezze e abbracci, che gli permette di crescere e di emanciparsi sotto ogni aspetto. Quest’insieme di cure e attenzioni sono indispensabili poiché gettano le basi su cui andrà a delinearsi il senso della fiducia di base e lo sviluppo della propria identità. Grazie a questa sicurezza affettiva il bambino sarà in grado di interagire con le altre realtà sociali che man mano entrano a far parte della sua vita, a cominciare dalla famiglia allargata, come cugini, zii, nonni, amici di famiglia, fino ad includere la scuola, la società sportiva, il catechismo e l’oratorio. A queste realtà il bambino attingerà e porrà le sue richieste in termini non solo pratici e concreti (come ricevere oggetti o scambiarsi dei giochi) ma anche affettivi (come farsi le coccole e cercare conferme).

In particolare nelle relazioni fra coetanei il bambino andrà a ricercare ciò che lo fa stare bene. In pratica ciò che lo rassicura emotivamente e lo stimola sul piano della creatività. Ecco che assumono un ruolo significativo tutte quelle forme di attaccamento che si instaurano fra gli amici, i quali sono vissuti e sentiti come una fonte di aiuto e di sicurezza, specie nelle situazioni di difficoltà, svolgendo il ruolo dei confidenti o ponendosi come modelli di comportamento che valutano le azioni secondo parametri diversi rispetto agli adulti. E questo perché utilizzano un linguaggio comune, come quello della fantasia ad esempio.

Le prime amicizie di solito sono fragili, si formano rapidamente e altrettanto rapidamente finiscono. Negli anni prescolari (asilo nido, scuola materna) si fondano soprattutto su dati geografici (come l’abitare nello stesso quartiere), sulla comunanza di interessi, sulle attività preferite e sul possesso di giocattoli attraenti. Alle elementari i bambini quando parlano dei loro amici puntualizzano l’aspetto delle attività comuni, dell’aiuto reciproco, della cooperazione e dell’assenza di scontri fisici, mentre a partire dalla preadolescenza i criteri più seguiti sono la familiarità e la lealtà specie fra i ragazzi.

Nel crearsi delle amicizie a partire dall’età scolare (quindi dalle elementari) ci sono bambini che vi investono molto in termini sia di tempo che di energie. Mi riferisco a quei bambini che vorrebbero sempre stare con l’amico o l’amica e al quale dedicano tutte le loro attenzioni fino, a volte, ricoprili di regali o pensieri. Quando questo genere di attenzioni divengono esagerate, a detta degli stessi  genitori, spesso accade che sull’amicizia questi bambini fanno delle richieste di attenzione che per tanti motivi non rivolgono ai loro genitori. In queste situazioni l’amico diventa come un ossessione ed è importante quindi l’intervento attivo, attento e tempestivo dei genitori, specie se avvertono in questi comportamenti un disagio. Intervento che non vuol dire necessariamente il divieto a vedere o frequentare l’amico, quanto l’aiutare il figlio a rafforzarsi emotivamente per avere più fiducia in sé come persona. Dico questo perché le forme di attenzioni esagerate verso un’altra persona (partner, amico) spesso nascondono dei sentimenti di inadeguatezza e di svalutazione di sé molto forti.

Svalutazione che alla lunga porta ad amputare parti di sé, perdendo la propria originalità e unicità.

Ci sono poi quei bambini che utilizzano il baratto per sentirsi accettati dal gruppo dei pari.

Certamente il senso di barattare qualcosa in cambio di qualcos’altro non fa parte del naturale modo di porsi dei bambini. Si tratta di un comportamento imitativo di ciò che vede fare dall’adulto per ottenere qualcosa cui tiene molto. E di questi modelli la nostra società è satura.

Và detto che quando un bambino utilizza simili strategie per essere accettato il motivo è spesso riconducibile alla propria storia affettiva. Spesso ci sono esperienze molto precoci e profonde di solitudine di separazione fino all’abbandono.

Il senso della disistima è tanto più forte quanto più radicato è il pensiero di non poter attingere alla risorsa genitore, in particolare il genitore omologo. Questo non necessariamente perché il genitore viene svalutato, al contrario in alcune situazioni viene vissuto come il modello ideale difficile da raggiungere ponendo sé stesso in una posizione marginale.

Certamente ogni forma di disistima và analizzata e capita in rapporto a chi prova sentimento; quello che è certo però è che la disistima porta il bambino a viversi in una condizione di inferiorità rispetto agli altri fino a convincersi che nessuno li può aiutare.

Invero, l’antidoto contro questo sentimento risiede proprio nel legame affettivo con i genitori: l’omologo, ad esempio, è la persona che conoscendo veramente il proprio figlio,

lo può aiutarlo a ritrovare il proprio valore come persona a un livello più intimo. Il genitore è nella condizione di fare questo perché è legato al figlio da un rapporto emotivo che per sua natura è profondo e che non conosce l’interferenza data da sentimenti come la competizione, il potere, la gerarchia, l’ostilità, il rifiuto e la svalutazione: per lo meno così dovrebbe essere. Questi vissuti al contrario sono imperanti nel mondo sociale ed economico dove purtroppo si trascorre la maggior parte della giornata. Questo vale per i bambini, impegnati a scuola e in varie altre attività extrascolastiche, ma anche per gli adulti.

Sicuramente i bambini sono molto più fragili e a rischio di essere travolti, innanzi a sentimenti come la paura del rifiuto, la paura dell’abbandono, di non essere accettati….

In questo il genitore può fare molto, anzi tutto. Ma in che modo? Vista la forza dell’interferenza esercitata da queste realtà sociali esterne alla famiglia?

A tal proposito molto si è scritto. Vorrei ora citare una riflessione tratta dal libro “Intelligenza emotiva” di Daniel Goleman: “I genitori sono coloro che modificano il tono vagale dei propri figli (ossia, la sensibilità del nervo vago agli stimoli) guidandoli nella loro vita emotiva, questo, parlando ai bambini dei propri sentimenti e spiegando loro come comprenderli, evitando di essere critici e di emettere giudizi, risolvendo i problemi posti da difficili situazioni emotive, guidandoli sul da farsi, mostrando quali siano le alternative allo scontro fisico, o al chiudersi in sé stessi quando si è tristi.

Quando i genitori svolgono bene tutto ciò i bambini si comportano meglio, in quanto riescono a sopprimere efficacemente l’attività vagale, ossia l’agire la rabbia, o per contro, la fuga.”

Di periodi critici nella vita di un bambino ce ne sono tanti, ed il confronto con i pari con la delusione che ne può scaturire è uno fra i tanti. In ogni modo, è importante che ognuno di questi periodi rappresenti un’opportunità per fare in modo che il bambino apprenda abitudini emozionali positive che andranno a sicuro beneficio della sua identità e della sua autostima. Questo allo scopo non solo di crescere e di maturare, quanto di equipaggiarsi di fronte agli ostacoli posti dalle relazioni e interazioni sociali.


23 gennaio 2007

Barbara CAMILLI

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