“Nella notte scura, scura i bambini han paura.
Han paura dei rumori e i fantasmi saltan fuori.
Vengon fuori mummie, scheletri e dottori; ladri, topi e pipistrelli che s’infilan nei capelli.
Per fortuna c’è la mamma che ti dice “Fai la nanna, sto con te nella notte scura non avere più paura”.

Wanda Genero “Il bambino e le paure della notte”

1. Una paura percepita come assurda

Durante un corso sull’intelligenza emotiva rivolto ad operatori psico-sociali, un insegnante di nome Monica mi racconta, molto preoccupata, la storia della sua bambina Valentina, di sette anni. La figlia Valentina non riesce a dormire da tre mesi, ha incubi notturni che le impediscono di prender sonno da quando a scuola le insegnanti le hanno fatto vedere la videocassetta della storia di Barbablù. La bambina tutte le sere continua a lamentarsi: “Mamma ho paura di Barbablù, lo vedo dietro le tende della mia cameretta o sotto il lettino… mi fa paura, vedo tutte le sei mogli ammazzate da quel mostro sul pavimento della mia cameretta”.

Monica mi dice che ha sperimentato mille strategie per affrontare questa paura, le ha provate davvero tutte per aiutare la sua bambina a superare quest’angoscia, ma non è riuscita a risolvere nulla.

Mi racconta alcuni suoi tentativi sperimentati con Valentina:

· Ha tentato di fornire a Valentina delle spiegazioni razionali: “Barbablù non esiste Valentina, è frutto solo della tua fantasia mentale, non rappresenta la realtà”;

· Ha provato ripetutamente a rassicurarla: “Stai tranquilla, amore mio non potrà mai farti del male Barbablù”;

· Ha cercato di distrarla: “Dai forza, adesso non pensare più a questo Barbablù e raccontami come hai trascorso la giornata oggi!”;

· Le ha dato dei consigli per risolvere il problema: “Quando senti dentro di te la paura di Barbablù accendi la luce che hai sul tuo comodino, d’accordo?”.

Tutti i tentativi sono risultati inefficaci e Valentina continua ad aver paura di Barbablù.

A volte Monica, in modo autentico, racconta che perde la pazienza con Valentina e le dice: “Smettila con questa paura di Barbablù, sono stufa ormai sei grande, non essere sciocca non sei più una bambina piccola”, colpevolizzando e banalizzando la sua paura intensa, ma senza ottenere alcun successo.

 

2. L’importanza di condividere la paura

Da queste sincere comunicazioni di Monica, tutti impariamo quanto sia faticoso ascoltare le comunicazioni con cui i bambini segnalano le loro paure: è difficile ascoltarle, nella misura in cui ci risulta difficile identificarci davvero con il bambino che esprime paura.

Quando ci troviamo di fronte un bambino impaurito, noi adulti preferiamo scappare via.

Invece di ascoltare in modo empatico, noi offriamo consolazioni, diamo soluzioni, distraiamo, spieghiamo, a volte anche colpevolizziamo.[1] Facciamo tutto questo prima ancora di avvicinarci alla paura vera dei bambini o degli adolescenti.

Noi adulti abbiamo molta fretta di “fare”, di dare soluzioni, siamo mossi dall’urgenza di agire senza invece prima accogliere le paure dei bambini, saltiamo spesso la fase fondamentale della condivisione emotiva. Per molti adulti sarebbe troppo doloroso avvicinarsi alla paura di Barbablù di Valentina perché potrebbe riattivarsi il confronto con la paura e con la debolezza presenti nell’adulto stesso.

Valentina quando dice di vedere nel buio della sua cameretta Barbablù, lo vede veramente! Ed è assolutamente inutile dirle che non esiste! Misconoscere, minimizzare o colpevolizzare una paura che ha una propria consistenza emotiva nella soggettività del bambino è del tutto controproducente.

A Valentina non interessano le nostre spiegazioni razionali o gli interventi sdrammatizzanti della sua mamma: “Ma dai, che non esiste Barbablù, è solo una tua fantasia. Dai, ormai sei grande non essere ridicola!”.

Suggerisco a Monica che a Valentina interessa soltanto che la sua mamma, in quel preciso momento, condivida solo la sua emozione di paura; Valentina spera che la sua mamma, magari abbracciandola, le si avvicini e le comunichi: “Ma davvero Valentina, hai proprio tanta tanta paura di questo Barbablù, sai che ti vedo proprio spaventata! Lo vedi proprio nella tua cameretta di notte… ma raccontami un po’ com’è questo Barbablù… ma dove lo vedi… ma accipicchia anch’io se vedessi una cosa così avrei proprio tanta paura, sai?… Adesso, vieni qua vicino alla tua mamma che ti fa un po’ di coccole e cerca di capire meglio la tua paura”… basterebbe solo questo tipo d’intervento di accoglimento del suo vissuto emotivo per sciogliere la sua paura. Non si tratta di promettere le coccole come mezzo che elimina la paura, ma come strumento che accompagna un tentativo affettivo di condividerla e comprenderla.

Valentina e tutti i bambini che manifestano paure soggettivamente rilevanti hanno un disperato bisogno di essere riconosciuti nelle loro emozioni, nei loro sentimenti che sono sempre indiscutibili. Poi, in un secondo momento, le nostre spiegazioni razionali possono essere efficaci; prima di tutto è fondamentale che ci sia il nostro riconoscimento emotivo che aiuta i bambini nella regolazione delle loro emozioni di paura.

Solo così Valentina sente di aver condiviso con un’altra mente la propria paura, sente finalmente di averla condivisa, divisa insieme ad un’altra persona e si sente finalmente capita veramente.

 

3. Empatizzare con la paura e riascoltare le proprie paure dell’infanzia

La settimana seguente ritrovo la mamma che mi racconta che durante i giorni scorsi ha cercato di entrare dentro la paura di Valentina: le ha posto alcune domande su Barbablù senza alcun timore di avvicinarsi al disagio della figlia, hanno provato insieme a disegnare Barbablù dando un titolo al disegno e pensando ad una storia da scrivere sulla rappresentazione grafica. Insieme hanno anche ideato un termometro emotivo che potesse misurare la febbre della paura per Barbablù da zero a cento (“Prova a dirmi Valentina, da zero a cento quanta paura hai di Barbablù?”).

Monica in questo modo ha cercato di identificarsi con la paura di Valentina, si è sforzata di ascoltare in modo empatico la paura della sua bambina, ha cercato di mettersi nei panni di ciò che potrebbe provare Valentina, e con grande sorpresa le è tornato in mente che quando aveva circa sei anni (quasi l’età di Valentina), era assalita dalla paura del buio, dalla paura di vedere l’uomo nero.

Spesso la difficoltà ad accettare le paure dei bambini risponde ad una strategia difensiva di fronte alle nostre stesse paure infantili. L’intolleranza del genitore nei confronti di alcune paure del figlio risponde spesso ad un’intolleranza del genitore nei confronti delle proprie componenti infantili, deboli e spaventate.

L’impegno di Monica ad accettare e ascoltare la paura della figlia, invece di continuare a pretendere di eliminarla, ha favorito l’incontro con parti infantili di sé, che chiedevano di essere ricordate ed integrate. Monica, in effetti, vuole avvicinarsi alla propria figlia e in questa maniera incontra una parte infantile di sé. D’altra parte l’ascolto dell’adulto di sé e della propria storia, l’ascolto del bambino che rimane nella mente dell’adulto diventa il mezzo per poter ascoltare il bambino che ci possiamo trovare di fronte. Monica dunque sperimenta un’ulteriore operazione con la sua bambina, attiva un impegnativo sforzo di identificazione, si avvicina a Valentina e le dice con dolcezza: “Sai anch’io quando ero bambina come te avevo tanta paura del buio. Volevo la mia mamma vicino a me”. Questo tipo di comunicazione sblocca ulteriormente la situazione: Valentina comincia ad aprirsi parlando finalmente in modo approfondito della propria paura.

In cosa questa comunicazione si differenzia dalle precedenti?

Si tratta di una comunicazione empatica, emotiva che presuppone la capacità dell’ascoltatore di essere sensibile, cioè di riuscire a sentire e decifrare le emozioni altrui. Monica, dopo varie strategie comunicative infruttuose riesce a registrare e decodificare la vera paura di Valentina e ci riesce quando prova a riascoltare la propria parte infantile.

Non sempre è possibile ricordare esperienze infantili simili a quelle che vive nostro figlio, vuoi perché abbiamo difficoltà a prendere contatto con il bambino dentro di noi, vuoi perché nella nostra infanzia spesso non si sono verificate situazioni analoghe.

Quando i ricordi personali non ci vengono in aiuto, dobbiamo provare un altro metodo: possiamo domandarci che cosa farebbe reagire noi nello stesso modo di nostro figlio, indipendentemente dalla situazione ambientale che potrebbe essere molto diversa. E’ importante chiederci allora “che cosa mai indurrebbe me a comportarmi come sta facendo mio figlio?” e ancora “se mi comportassi così, che cosa allevierebbe la mia paura?”, se riusciamo in tutta onestà a rispondere a queste due domande tra loro collegate ecco che accetteremo e conosceremo veramente le paure di nostro figlio e sapremo anche come aiutarlo per affrontarle.

Quindi, se riusciamo a ricordare le nostre paure infantili, possiamo pensare all’aiuto che avremmo desiderato dai nostri genitori: tale ricordo ci può sostenere nell’affrontare le paure dei nostri bambini.

E’ davvero indispensabile per i genitori e per gli educatori riuscire ad entrare in contatto con le componenti di debolezza appartenute alla propria infanzia per capire veramente le debolezze dei bambini. In questo modo si potranno aiutare i bambini a mettere in parola le paure, visto che essi spesso le provano, le sentono, ma non sanno attribuire loro un nome.

Monica entra in rapporto con il proprio mondo emotivo infantile, comunica di comprendere fino in fondo la paura della sua bambina, comunica di riconoscerla come vera e reale, dando alla figlia la sensazione di potersi fidare di lei, di poter esprimere ciò che le fa paura e di non sentirsi più sola.

Monica è riuscita a prendere contatto con la bambina che era dentro di lei e con le sue paure, e questo l’ha aiutata a comprendere le paure della sua bambina.

Quindi, tra le paure dei bambini e quelle degli adulti esiste un rapporto molto stretto: nelle paure dei nostri figli possiamo riscoprire le nostre, oppure ritrovare in noi il bambino impaurito che siamo stati.

 

4. Sintonizzarsi con la paura per comprenderne il significato profondo

Ho fatto notare a Monica che Valentina, quando si trovava nel buio della sua cameretta, non aveva paura solo per se stessa, ma forse aveva anche paura che potesse succedere qualcosa di brutto alla mamma, come era accaduto alle sei mogli di Barbablù, forse aveva anche timore che la sua mamma potesse morire come era accaduto nella favola. Immediatamente Monica riesce ad intuire che la paura di Barbablù maschera un’angoscia più profonda e massiccia: la paura di poter perdere la sua mamma e di essere abbandonata.

Monica mi racconta che Valentina aveva iniziato ad aver paura di Barbablù da tre mesi, in concomitanza con la perdita del nonno paterno al quale la bambina era molto affezionata: dunque, la paura apparentemente irrazionale per Barbablù rappresenta la paura di perdere una persona cara: dopo il nonno anche la mamma poteva morire.

La paura di Barbablù, in particolare il timore legato alla scena delle sei mogli uccise sul pavimento che aveva impressionato molto Valentina, ora per Monica sta finalmente acquistando un senso, una ragione di esistere, un significato specifico.

Per la madre questa paura era stata inizialmente assurda e priva di senso, ora assume una funzione informativa e comunicativa.

Nell’istante in cui Monica scopre, con l’aiuto della bambina, il significato profondo della paura di Barbablù, le ragioni e le cause di questo timore, lo comprende e lo accetta, aiutando così Valentina ad esprimerlo liberamente e a scioglierlo come “neve al sole”.

Per poter scoprire il significato personale delle paure è indispensabile identificarsi con le paure profonde vissute dai propri figli, saperle tollerare ed ascoltare in modo empatico mettendosi nei panni di ciò che potrebbe provare il bambino, solo così si aiutano i propri figli ad alleviare i loro terrori.

Quando Monica ha iniziato a comprendere profondamente la paura di Valentina, quando ha cominciato ad accettarla come un’emozione legittima e a dargli credito, la bambina è passata dalla paura per Barbablù alla preoccupazione di poter perdere la sua mamma, e così fra mamma e figlia si è attivato un nuovo (e più efficace) canale comunicativo.

Come afferma lo psicologo americano Stern[2], è indispensabile che ci sia una sintonizzazione affettiva fra mamma e bambino, e cioè che ci sia condivisione empatica dello stato emotivo del bambino: “La mamma deve sentire la paura che suo figlio sta provando”, deve stare con lui nell’emozione di paura, “navigare” insieme nella paura e quindi mettersi nel punto di vista di chi sta attraversando l’esperienza.

Quando Valentina ha sentito che la sua mamma in modo coraggioso e forte navigava insieme a lei nella sua paura, si è accorta che i suoi timori si sono sciolti completamente.

L’esempio di Valentina e di sua mamma mi porta ad affermare con vigore che tutte le emozioni che noi proviamo, dal dolore, alla tristezza, alla rabbia quindi anche la paura, sono dei segnali relazionali che lanciamo all’altro: io provo paura, perché voglio comunicare a qualcuno la mia paura, perché voglio comunicare a qualcuno questa mia emozione, chiedo a qualcuno che mi aiuti a sciogliere questa mio stato emotivo. Se non trovo qualcuno che mi accoglie e scioglie la mia paura, continuerò a provarla e a riproporla a qualcun altro.
 

5. La legittimizzazione e la rivalutazione della paura

Che cos’è la paura? La paura è dunque prima di tutto un sentimento, come la rabbia, l’ira, la gioia o il dolore che proviamo nella vita di tutti i giorni.

Tutti noi abbiamo questi sentimenti, fanno parte della nostra vita e della natura umana; sono legittimi, indiscutibili e nessuno si dovrebbe vergognare a provarli.

La paura è un campanello d’allarme interno (dentro di noi) che ci segnala la presenza di un pericolo o di una minaccia nel mondo esterno.

Avere un po’ di paura è quindi, del tutto normale e necessario, soprattutto per i bambini, poiché li aiuta a rispondere in maniera corretta ai vari pericoli che possono incontrare nella vita di tutti i giorni. Quindi, la paura è un sentimento importante poiché ci informa della presenza di un pericolo, ci insegna ad affrontare l’ignoto, ci prepara ad agire e a fuggire rapidamente in situazioni di allarme.

Occorre dunque superare una rappresentazione totalmente negativa della paura: il sentimento della paura salvaguardia la sopravvivenza umana e contribuisce allo sviluppo umano e alla crescita personale; infatti, ogni volta che un bambino supera la propria paura può andare verso qualcosa di nuovo o di sconosciuto raggiungendo un progresso personale. La paura è naturale e deve essere vissuta ed utilizzata dai bambini e dagli educatori attorno a loro.

Prima di voler padroneggiare la paura è importante dunque riconoscere la sua importanza: se non avessimo mai paura, mancherebbe qualcosa di determinante nella nostra vita e, come afferma Paola Binetti, neuropsichiatra infantile che si occupa da molti anni di psicologia evolutiva: “Un bambino senza paure è un bambino che ha soffocato il proprio senso dell’avventura”.[3]

Il mondo infantile è animato da mille paure, i bambini possono vivere paure reali e timori irrazionali.

Le paure reali sono quelle “fuori di noi”, quelle legate a esperienze reali che il bambino vive e sperimenta sulla propria pelle, quelle che hanno un riscontro nella realtà come per esempio l’intensa paura e spavento che può sperimentare un bambino quando cade per terra e si fa male o le paure scatenate da stimoli esterni come per esempio la paura dei rumori forti per i neonati, la paura del temporale, la paura per il fuoco che ci ha bruciato, per il gatto che ci ha graffiato, per l’insetto che ci ha punto.

Altre frequenti paure reali che vivono i bambini sono: la paura per i ladri, per i personaggi in maschera o per i volti sconosciuti.

Le paure irrazionali sono quelle che vivono dentro di noi e sono scatenate da stimoli interni, dai nostri pensieri o dalle immagini. Tutti i bambini hanno dei pensieri “belli e brutti”, delle immagini interiori che possono scatenare delle paure. E’ infatti, caratteristico nei bambini della scuola materna o elementare avere paura dei fantasmi, delle streghe, dei mostri, di draghi terrificanti o tigri nascoste sotto il letto che possono aggredirli o ferirli mortalmente: queste sono paure normali, legittime che popolano il mondo interiore infantile.

Certamente sia le paure reali sia quelle irrazionali possono in alcuni casi amplificarsi e distorcersi, dando avvio a paure malsane, problematiche ad ansie post-traumatiche o a fobie, che danneggiano il rapporto con gli altri e con la realtà, che minano la fiducia del bambino in se stesso.

Ma tutto ciò non deve farci dimenticare che le paure infantili in qualche misura sono sane e non si possono eliminare! Rappresentano una parte importante dello sviluppo infantile. Crescendo le paure si possono trasformare, subiscono una metamorfosi ma non spariscono.

Il bambino quando cresce tende ad abbandonare alcune paure ma ne compaiono altre di significato ed intensità diverse riflettendo il suo processo di sviluppo.

Quando il bambino cresce la paura assume nuove connotazioni, perché cambia la comprensione del mondo del bambino e le sue capacità di fronteggiare le minacce, cosicché ciò che è normale per una certa età non lo è più per un’altra.

Spesso noi adulti abbiamo difficoltà ad ascoltare in modo empatico le paure dei nostri bambini, e questo non per colpa nostra ma perché nell’infanzia le nostre angosce non sono state ascoltate dai nostri genitori o dalle figure affettive di riferimento.

Proprio da questo mancato ascolto del passato nascono le nostre attuali difficoltà a condividere emotivamente i timori dei nostri figli.

 

6. Accettare la paura, contrastare la solitudine

La relazione con i genitori e con le figure di accudimento risulta fondamentale per superare le paure dei bambini ed in particolare per impedire la nocività di tali timori.

Infatti la nocività delle paure dei bambini non è direttamente proporzionale all’intensità della situazione di pericolo temuta quanto piuttosto all’intensità del vissuto di solitudine con cui queste paure vengono affrontate.

I bambini, quando sono assaliti dalla paura sono preoccupati più che delle minacce provenienti dall’oggetto fonte di paura, dalla possibile lontananza dei genitori. Spesso, infatti, si domandano: dov’è mia madre?, cosa sta facendo mio padre?, posso correre da loro?, possono venirmi in aiuto?

I bambini possono esprimere la paura attraverso varie modalità comportamentali: con scoppi d’ira, con l’irrigidimento del corpo, con l’aggrapparsi in modo esasperato alla figura di riferimento, con l’evitamento della situazione minacciosa.

Spesso con i bambini molto piccoli non riusciamo a comprendere di che cosa il bambino ha realmente paura perché non riesce ancora a parlare. Il nostro comportamento non verbale può allora andare oltre le semplici parole.

Se prendiamo in braccio il nostro bambino, lo coccoliamo, lo accarezziamo dolcemente allora dimostriamo di capire veramente le sue paure e il bambino si sentirà rassicurato e il suo timore diminuirà.

Con il bambino piccolo che non ha ancora sviluppato la capacità linguistica il nostro corpo può allora offrirgli tutto ciò che gli serve per combattere le sue paure.

La paura incomincia ad attenuarsi proprio quando una delle persone di riferimento affianca il bambino, lo prende in braccio, gli prende la mano, gli racconta una fiaba, lo accompagna nel passaggio dalla veglia al sonno.

Il passaggio dalla veglia al sonno è un momento molto delicato per il bambino perché per lui addormentarsi significa perdere il senso dell’orientamento e quindi entrare in confusione con se stesso, significa distaccarsi dalla rassicurante realtà esterna e soprattutto separarsi dai genitori e affrontare tutto solo il mistero della notte.

E’ quindi di fondamentale importanza la vicinanza fisica, il sostegno della mamma, del genitore prima che il bambino si addormenti, non a caso si dice che la mamma è la migliore custode del sonno del suo bambino.[4]

 

7. La paura dei bambini e il ruolo della fiaba

Raccontare ai bambini delle fiabe, delle favole di animali prima che si addormentino li aiuta molto a vincere le loro paure del buio e della notte, le loro ansie di separarsi dai genitori.

Le fiabe e le favole sono un grande regalo che i genitori possono fare ai figli. Esse attenuano le paure dei bambini, perché la paura, assumendo una forma simbolica, viene sempre legittimata: un bosco pieno di pericoli come nel caso di Biancaneve e Hansel e Gretel, un drago a sette teste da uccidere da cui però gli eroi riescono sempre a uscire vittoriosi.

Il bambino nelle fiabe trova svariati esempi di come le paure possono essere superate e di come le difficoltà, i pericoli possono essere risolti. D’altra parte le fiabe insegnano al bambino che i problemi e le paure fanno parte di qualsiasi cammino di crescita.

Ci mostrano come la paura sia da sempre, sin dai tempi più remoti, un problema che accomuna l’intera umanità che si può superare innanzi tutto riconoscendola, e poi affrontandola non solo con coraggio, ma anche con l’ausilio di strumenti e risorse che di volta in volta vanno cercati.

Quando un padre o una madre raccontano una fiaba al proprio figlio, il bambino si sente capito nei suoi desideri più intimi e nelle sue peggiori paure, comprende che diventare grande significa dover affrontare compiti difficili ma anche vivere avventure meravigliose.

Le fiabe, le filastrocche, le favole, i disegni, affidati alla sensibilità, creatività, all’intelligenza emotiva del genitore o dell’insegnante possono rappresentare degli ottimi strumenti per aiutare il bambino a proiettare, rappresentare, elaborare tutte le sue paure, determinando delle vere e proprie iniezioni di fiducia.

Per affrontare le paure del buio dei bambini è anche importante pensare insieme delle “abitudini per l’ora di andare a dormire”, collaborare per costruire dei veri e propri rituali della buonanotte.

Delle piccole cerimonie come dare lo stesso numero di baci ai bambini, coricarvi per qualche minuto al loro fianco prima che si addormentino, fargli un massaggio dopo il racconto di una fiaba, preparargli una tazza di latte caldo, tutto questo offre un senso di sicurezza al nostro bambino che lo accompagnerà per tutta la vita. Ovviamente queste procedure non potranno essere efficaci se verranno eseguite come “tecniche” da applicare con modalità prive di empatia e sganciate dal contatto con i sentimenti.

 
8. Ricontattare l’infanzia rimossa

La fiaba o il rituale non possono essere dunque tecniche che si somministrano come una prescrizione medica, ma sono momenti e strumenti all’interno di una dimensione relazionale ed emotiva che si cerca di costruire.

Torniamo all’importanza decisiva del contatto da parte dell’adulto con il proprio mondo emotivo. Se ci sono esperienze di sofferenza infantile non elaborate, aree emotive non percepite, difese rigide dal contatto con i sentimenti, tutto questo rischia inevitabilmente di ripercuotersi negativamente sul mondo interno del bambino, producendo atteggiamenti educativi e relazionali inadeguati.

Capita spesso, per esempio, che nei bambini la paura nasca non da esperienze reali che sono risultate frustranti o pericolose, ma da come essi percepiscono la realtà esterna. E non ci si stancherà mai di ricordare che i bambini vivono la realtà attraverso i significati del mondo reale che noi adulti gli trasmettiamo.

I bambini leggono la realtà con i nostri occhi, con gli occhiali che i genitori, i nonni e gli adulti di riferimento gli forniscono, seppur spesso in modo inconsapevole.

Quindi, alcune paure dei bambini sono apprese per imitazione: molte madri, infatti, pur senza rendersene conto, trasmettono le loro ansie e proiettano i propri allarmi ai figli.

Essi, così, incominceranno a temere i temporali, l’aereo, il dentista, i ladri, le ferite, gli aghi allo stesso modo della madre e a imitazione del suo comportamento. Le preoccupazioni, le angosce, le ansie, derivanti dall’infanzia rimossa dei genitori, finiranno inevitabilmente per scaricarsi in qualche modo sul figlio.

Ecco perché lo strumento fondamentale per evitare atteggiamenti educativi e relazionali dannosi nei confronti dei figli sta nella capacità dei genitori di sentire pienamente la propria infanzia, di riconoscere le più importanti sofferenze e paure che si sono vissute da bambini, dando comprensione e solidarietà al bambino o alla bambina che si è stati, riconoscendo le strategie difensive di adattamento e di sopravvivenza di fronte alle difficoltà che si sono messe in atto nella propria infanzia e adolescenza[5].

 
CONCLUSIONI

Riassumiamo alcune indicazioni per aiutare un bambino o un adolescente a vivere ed affrontare in modo attivo le sue paure:

· Aiutare i bambini a mettere in parola le paure.
Quando un bambino ha genitori che non riescono mai a mostrare empatia con la paura espressa dal bambino questo comincia ad evitare di esprimerla e poi di provarla. In questo modo l’emozione di paura comincia ad essere cancellata dal proprio vocabolario emotivo e una parte importante del proprio “cuore” purtroppo si perde durante la crescita stessa del bambino.
Solo se i bambini avranno l’opportunità di parlare liberamente delle proprie paure con i genitori, se avranno l’occasione di dialogare con i genitori sulle proprie paure, potranno allora anche superarle con successo.

· Evitare di costringere i bambini a tenere le paure per se stessi.
Occorre sviluppare una consapevolezza sulle barriere all’ascolto della paura che costruiamo con i nostri figli e con i nostri allievi.
Spesso i bambini imparano a reprimere le proprie paure, imparano a viverle in silenzio per compiacere le figure di riferimento, per non preoccuparli o inquietarli.
In una famiglia dove prevale un modello per cui bisogna essere forti ed efficienti i figli non sono certo incoraggiati ad esprimere delle paure che avvertono già saranno giudicate e disprezzate.
Quando gli adulti rimuovono, non accettano una determinata area di esperienza impediscono ai figli di potersi esprimere sulle loro difficoltà e di potersi utilmente confrontare[6].

· Accettazione, sensibilità e pazienza.
Il genitore dovrebbe dimostrare molta sensibilità emotiva verso le paure dei bambini e una grande capacità di identificazione con queste.
Dovrebbe riuscire ad accompagnarlo nella sua paura, trasmettendogli dei messaggi di sostegno: “Sono qui, ti guardo e non ti lascio solo con la tua paura”.
I bambini paurosi richiedono molto tempo e altrettanta pazienza e in generale noi adulti non abbiamo né molto tempo né molta pazienza in un mondo scandito da ritmi frenetici.

· Rispettare sempre le emozioni dei bambini.
Tutte le paure che esprimono i bambini sono legittime e piene di valore, sono davvero indiscutibili ed è fondamentale che il mondo adulto attribuisca loro credito.
Questa è la condizione principale perché un bambino si fidi di noi, rispettarle sempre anche se la sua emozione ci pare assurda e irrazionale. Quando il bambino ha paura, ha una o parecchie ragioni per avere timore anche se lui non la conosce ancora, così come non la conosciamo noi.

· Ascolto empatico delle paure che il bambino ci trasmette.
Accogliamo le paure senza offrire soluzioni, offriamo tenerezza per dargli la fiducia necessaria per affrontare da solo le sue paure. Mostriamo soprattutto empatia, vicinanza emotiva: è tutto ciò di cui ha veramente bisogno il bambino. Dobbiamo soprattutto ascoltare con comprensione emotiva, così aiuteremo il bambino a scoprire qual è il suo modo unico e speciale di affrontare le paure.

· Riascoltare noi stessi da bambini per poter comprendere le paure del minore che ci troviamo di fronte.
E’ richiesto al mondo adulto uno sforzo di identificazione con le paure espresse dal bambino attraverso il recupero del ricordo delle nostre paure infantili. Una volta che nostro figlio ha potuto esprimere i suoi vissuti di paura possiamo parlargli delle nostre emozioni di oggi o di ieri quando anche noi siamo stati bambini e abbiamo provato delle paure: ”Sai anch’io…..”. Parlare delle proprie emozioni di adulti non significa perdere di autorevolezza o di valore agli occhi dei nostri figli anzi significa offrire un’immagine di genitori più umana, viva ed autentica. Così i nostri figli ci sentiranno più vicini e questo li rassicurerà.

· Scoprire le risorse, interne ed esterne del bambino.
Può essere utile chiedere ai bambini impauriti: “Senti ma ti ricordi una paura che hai avuto e che poi è scomparsa?”, “Ricordi come hai fatto a superarla? Come ti sentivi dopo averla superata?” . E’ importante lasciare al bambino il giusto tempo per ricordare momenti in cui ha superato delle paure, e tempo per rievocare le emozioni provate di allora. Trasmettere il messaggio: “Vedi hai già avuto in passato delle paure e sei stato capace di superarle da solo, bravo!”

· Non costringiamo il nostro bambino ad affrontare le sue paure in modo troppo diretto e brutale.
Per superare una paura spesso ci vuole tempo e pazienza tanto più il timore è soggettivamente consistente. E’ legittimo rispettare i tempi e le modalità del bambino. Ricordiamoci che potrà superare i suoi timori solo se sceglie personalmente di farlo: il quando e il come affrontare le paure lo sceglierà lui stesso.
E’ fondamentale che non ci sia mai nessuna pressione ansiogena da parte nostra per il superamento delle paure, altrimenti si sentirà costretto più dal nostro desiderio che dal suo… e la costrizione sappiamo tutti che genera molta paura!

· Comunicare ai propri bambini la consapevolezza che la paura fa parte della vita.
E’ importante non presentarsi ai bambini su un piedistallo di invulnerabilità, di coraggio inautentico, di controllo onnipotente della realtà. Può essere utile comunicare alcune delle nostre debolezze e delle nostre paure ai bambini (soprattutto quelle che sono già sotto gli occhi di un bambino sensibile e attento) senza per questo pretendere che sia lui a confortarci sulle nostre debolezze e sulle nostre paure. E’ fondamentale trasmettere ai propri bambini la certezza che la paura fa parte della vita di tutti i giorni, “che anche noi che abbiamo trenta, quaranta, cinquant’anni quando eravamo bambini abbiamo provato paura e continuiamo ad averla anche da adulti”, ma che può essere affrontata e talvolta anche superata con serenità.

· Individuare le strade perdenti per affrontare le paure dei bambini.
Spronare il bambino ad eliminare la paura in modo volontaristico, pretendere di togliergli una paura emotivamente consistente attraverso una spiegazione razionale, una consolazione, una distrazione, o peggio ancora una sgridata è sbagliato e spesso controproducente. La medicina adatta alla cura delle paure è rappresentata proprio dal nostro rispetto verso il bambino e dall’ascolto empatico delle sue paure.

Per questo aiutare i genitori ad affrontare le paure dei bambini è soprattutto educarli alla relazione e alla comunicazione affettiva ed emotiva: i genitori e gli educatori dovrebbero quindi allenarsi a conoscere/riconoscere il proprio mondo emotivo, anche nei suoi risvolti di debolezza e paura, per poter incontrare quello degli altri. I genitori e gli educatori dovrebbero riuscire a registrare e dare un nome al proprio bagaglio emotivo per poter riconoscere e sostenere il mondo emozionale dei bambini.

 

[1] T. Gordon, Genitori efficaci, Meridiana, 2000

[2] D. N. Stern, Il mondo interpersonale dei bambini, Bollati Boringhieri, 1987

[3] P. Binetti, F. Ferrazzoli, C. Flora, Ho paura. Che cosa spaventa i bambini: un modo per conoscere e capire le loro paure, ed. Scientifiche Magi, 1999[4] W. Genero, Il bambino e le paure della notte, Giunti e Lisciani, 1998

[5] Cfr. A. Miller, L’infanzia rimossa, Garzanti, 1990; A. Miller, La persecuzione del bambino, Bollati Boringhieri, 1989

[6] N. Bolognini, C, Foti, Rimozione non fa rima con prevenzione, né con protezione, a cura di C. Foti, in L’ascolto dell’abuso e l’abuso nell’ascolto, F. Angeli, 2003.

 

Bibliografia

· G. Preuschoff, Come capire e risolvere le paure dei bambini, RED, 2000

· A. Miller, L’infanzia rimossa, Garzanti, 1990

· A. Miller, La persecuzione del bambino, Bollati Boringhieri, 1989

· P. Binetti, F. Ferrazzoli, C. Flora, Ho paura. Che cosa spaventa i bambini: un modo per conoscere e capire le loro paure, ed. Scientifiche Magi, 1999

· W. Genero, Il bambino e le paure della notte, Giunti e Lisciani, 1998

· C. Foti, L’ascolto dell’abuso e l’abuso nell’ascolto, F. Angeli, 2003

· I. Filliozat, Le emozioni dei bambini, Piemme, 2001

· B. Bettelheim, Un genitore quasi perfetto, Feltrinelli, 2000

· S. H. Frauberg, Gli anni magici, Armando, 1989

· D. Goleman, L’intelligenza emotiva, Bur, 1996

· D. N. Stern, Il mondo interpersonale dei bambini, Bollati Boringhieri, 1987

· T. Gordon, Genitori efficaci, Meridiana, 2000

 

06 febbraio 2007

 

Barbara MARTINO

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